venerdì 4 luglio 2008

"LAUREATO, NUN TE VOIO"

Recentemente l'Università di Parma ha pubblicato uno studio nel quale afferma che numerose imprese piccole e medie non assumono laureati di sorta, citando nomi, cognomi, imprese etc. Effettivamente mi trovo daccordo con quanto da loro riscontrato, ma ci sono delle precisazioni, (anche parecchie aggiungo) da fare.
Che dire? Da dove iniziare? OK, troviamo un punto d’inizio: il collasso della formazione universitaria e scolastica in genere, dalla Falcucci (1986) passando per Ruberti (1990) e andando via così…oggi la maggior parte dei cervelli laureati sono poco piu che diplomati decenti e i diplomati hanno livelli da terza media di vent'anni fa; gli esami si fanno con dei quizzetti a scelta multipla e i crediti te li puoi magari fare anche giocando a Risiko…dove sono finiti gli esamoni orali da un’ora e mezza a persona, dove il professore ti faceva a pezzi talmente piccoli che ti ci voleva un mese a recuperare lo stress? boh. Io so una cosa, mi ricordo perfino le cosucce di esamini complementari fatti nel 1991, con professori ultrasettantenni che ti facevano pelo e contropelo e alla fine ti dicevano: "lei è un ragazzo intelligente e preparato, le do 24, che ne dice?" (e giù a smadonnare, che se rifiuti ti sbattono fuori dalla casa dello studente), mentre giovani colleghi laureati da meno di un anno gia non ricordano piu nulla di quanto studiato (non mi sto inventando nulla, se volete faccio anche nomi e cognomi)…le mani di un operaio che sa fare il suo lavoro sanno essere magiche, il cervello di uno smidollato non va bene nemmeno per il brodo, questa è la realtà. Aggiungiamoci anche il fatto che imprese di tipo tecnico-artigiano non richiedono particolari competenze di tipo specialistico, per cui magari si affidano a professionisti del terziario all'occasione per consulenze. Aggiungiamoci ancora che un'impresa familiare da generazioni, con dirigenti ottantenni o quasi e figli dirigenti "solo-perchè-papà-mi-vuole-in-azienda" poco si presta (e gli esperti di marketing ne sanno tristemente qualcosa) ad ascoltare consigli del "dottore assunto da poco" detto anche "lo straniero" (giuro che ho sentito così). E pensare che il Sig.IKEA dei suoi 3 figli non ne ha voluto nemmeno uno in azienda perche "erano poco capaci"....ed ha affidato la dirigenza tutta ad "esterni"....
Iniziamo daccapo, volete?
Innanzitutto riappropriamoci della cultura "vera" e della dignità del titolo di “dottore”: non per fare come qui in Abruzzo “lei-non-sa-chi-sono-io” che tanto ormai dottori lo siamo tutti, bensì per il senso atavico della parola “dottore”, cioè “dotto, erudito”…e scommetto che qualche pirla che leggerà non saprà nemmeno che vuol dire “erudito”…e forse è pure laureato. Non è granchè ma almeno la smetteremo di ascoltare gente che (spesso a ragione) sento affermare: "toh, quello è laureato e ne capisce meno di me".
Abbiamo bisogno di cultura, ma non sto parlando di arte, musica e spettacolo, che per quelle alla fine basta avere talento (vabbè facciamo finta che basti il talento)...sto parlando di "conoscenza" nei campi delle scienze, della tecnica, della giurisprudenza e della letteratura..Scopriamo nuove molecole per far drizzare il pisello ad anzianotti obesi e cardiopatici e d'altro canto curiamo malattie come la tubercolosi con farmaci degli anni '50...tanto, chi ha la tubercolosi ormai o è povero o vive nel terzo mondo, non è economicamente vantaggioso investire in quei farmaci, no?
Viviamo in un paese dove l’adolescente medio ha un vocabolario linguistico di poco piu di 200 parole (in italiano...in inglese ne avrà 20 circa) e magari ha un padre o uno zio assessore regionale e lavora mentre noi poveri bifolchi emancipati dal sudore speso sui libri ci rassegnamo a fare lavori anche umili pur di campare la famiglia… quadretto abbastanza disastroso, vero? ma attenzione, non lamentiamoci troppo: è anche colpa nostra, purtroppo. (segue)

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