sabato 5 luglio 2008

ENNIO IACOBUCCI: ALCUNE FOTO

Ecco alcune foto in bassa risoluzione di quel genio del giornalismo di guerra che è stato Iacobucci.
Andate a vedere la mostra, se avete un minimo di coscienza storica e un briciolo di cuore di fronte alle sorti dell'umanità in guerra. Ne uscirete sicuramente sconvolti, ma più maturi.










ENNIO IACOBUCCI, REPORTER DIMENTICATO

Riporto di seguito l'articolo pubblicato sul blog "Malaparata" http://malaparata.splinder.com sul nostro conterraneo ENNIO IACOBUCCI, da San Vincenzo valle Roveto. Eroe tragico del giornalismo di guerra. Leggete, meditate e se potete, andate a vedere la mostra al museo trastevere a Roma.


si chiamava ennio, ennio iacobucci, e voleva diventare un grande fotografo. la fregatura è dove nasci. se nasci figlio di contadini in un paesino dell'abruzzo puoi finire i rullini sulle pecore, sui monti, sulle pietre, nessuno ti si fila, finisce che tuo padre ti da un colpo di zappa sulla macchina fotografica e ti fa capire che tra l'uno e l'altro attrezzo devi scegliere quello più duro, più pesante ma più sicuro. allora a sedici anni ennio scappa, va a roma. fa la fame, fa il lustrascarpe, insomma, si arrangia. nel sessanta incontra uno della reuters, è la svolta. va a bruxelles e impara il francese, poi a londra e impara l'inglese. poi da londra lo buttano fuori, ma lui sa già il mestiere. nel sessantasette va in palestina. c'é la guerra dei sei giorni, lui fotografa profughi e prigionieri. fotografa la guerra. ecco, ennio ha trovato il suo mestiere. far sapere la guerra, quella vera, dura, farla capire a chi è lontano, taglia l'arrosto, accende il ventilatore, gioca coi bambini. è bravo ennio, e lo sa. finito il lavoro in palestina quello della reuters lo invita ad andare con lui in vietnam. è il sessantotto, gli americani e i sudvietnamiti se le danno a morte con quelli del nord, i comunisti. ennio se ne sbatte di chi vince o perde, fotografa tutto, civili, morti, prigionieri, battaglie, ospedali, gente che dorme, che piange, pezzi di gente anche. già, lui deve far sapere. le sue foto fanno il giro del mondo. newsweek, paris match, time, il new york times. è famoso, mentre è lì sposa una ragazza vietnamita, lo propongono anche per il premio pulitzer, conosce la fallaci. poi la fregatura. se fotografi una guerra stai attento alle pallottole, alle bombe, mica alla propaganda della politica. così lui fotografa una battaglia dove americani e sudvietnamiti le prendono. per loro è una disfatta, ma lui scatta tutto, sviluppa i rullini e li consegna a france press. il servizio è pubblicato, gli usa si incazzano, lui è fuori dal giro. va in laos, in cambogia, fotografa la fine della guerra. nel settantacinque è il solo a fotografare la vittoria dei khmer rossi. ma ormai non piace più a nessuno. già, non puoi raccontare le cose come vanno e farla franca. a qualcuno pesti i piedi, e puoi anche trovarti senza lavoro. finisce la guerra e anche il matrimonio, ennio torna a casa, ma non sa che fare. non ci può vivere in un posto dove se vuoi far le fotografie devi farle agli attori famosi e ubriachi nei bar di via veneto. lui sa scattare il dolore, la tragedia, l'azione, la polvere. quel luccichio notturno son solo i lampioni e il traffico della capitale, mica i bengala su saigon o le bombe al fosforo sul mekong. ennio torna a casa, è solo, povero, in trentasette anni il mondo gli ha già dato tutto e tolto tutto. così, nel settantasette, dopo ventuno anni da quando era scappato dalla casa di contadino dei suoi, in abruzzo, per venire a roma e dopo aver girato il mondo e visto le guerre e gli aerei e i bombardamenti e gli elicotteri e la gente morta e altra gente che piange la gente morta e i soldati feriti e i pezzi di soldati saltati sulle mine, dopo tutto questo ennio iacobucci scende nella cantina di casa sua a roma e si impicca. questa è la storia di uno che voleva diventare grande, che lo era diventato, poi però il mondo è cambiato e lui non ha retto. questo fino a ieri. oggi no. oggi, dopo più di trent'anni, fanno una mostra a roma, con centoventi scatti fatti da ennio iacobucci. foto vecchie, sembra storia passata. una mostra da guardare bene, vedere l'orrore e sapere che quell'orrore esiste ancora oggi, uguale, solo più moderno, digitale, un orrore a colori fotografato a dodici megapixel. la mostra di ennio invece è roba fatta con la rollei o la leica, e la pellicola ilford o kodak in bianco e nero. centoventi foto di guerra, dure, crudeli, vere. il motivo per cui diventò famoso, il motivo per cui diventò nessuno. raccontare la verità di una guerra. oggi ennio sarebbe contento, almeno della mostra che gli fanno al museo di trastevere. di come vanno le cose nel mondo forse no, di questo sarebbe triste. di guerre da raccontare con la macchina fotografica ce n'é fin troppe nel pianeta, ma ormai non le vuol conoscere quasi più nessuno. nessuno vuol sapere la verità. di guerra si può morire una volta, non due.

venerdì 4 luglio 2008

"LAUREATO, NUN TE VOIO"

Recentemente l'Università di Parma ha pubblicato uno studio nel quale afferma che numerose imprese piccole e medie non assumono laureati di sorta, citando nomi, cognomi, imprese etc. Effettivamente mi trovo daccordo con quanto da loro riscontrato, ma ci sono delle precisazioni, (anche parecchie aggiungo) da fare.
Che dire? Da dove iniziare? OK, troviamo un punto d’inizio: il collasso della formazione universitaria e scolastica in genere, dalla Falcucci (1986) passando per Ruberti (1990) e andando via così…oggi la maggior parte dei cervelli laureati sono poco piu che diplomati decenti e i diplomati hanno livelli da terza media di vent'anni fa; gli esami si fanno con dei quizzetti a scelta multipla e i crediti te li puoi magari fare anche giocando a Risiko…dove sono finiti gli esamoni orali da un’ora e mezza a persona, dove il professore ti faceva a pezzi talmente piccoli che ti ci voleva un mese a recuperare lo stress? boh. Io so una cosa, mi ricordo perfino le cosucce di esamini complementari fatti nel 1991, con professori ultrasettantenni che ti facevano pelo e contropelo e alla fine ti dicevano: "lei è un ragazzo intelligente e preparato, le do 24, che ne dice?" (e giù a smadonnare, che se rifiuti ti sbattono fuori dalla casa dello studente), mentre giovani colleghi laureati da meno di un anno gia non ricordano piu nulla di quanto studiato (non mi sto inventando nulla, se volete faccio anche nomi e cognomi)…le mani di un operaio che sa fare il suo lavoro sanno essere magiche, il cervello di uno smidollato non va bene nemmeno per il brodo, questa è la realtà. Aggiungiamoci anche il fatto che imprese di tipo tecnico-artigiano non richiedono particolari competenze di tipo specialistico, per cui magari si affidano a professionisti del terziario all'occasione per consulenze. Aggiungiamoci ancora che un'impresa familiare da generazioni, con dirigenti ottantenni o quasi e figli dirigenti "solo-perchè-papà-mi-vuole-in-azienda" poco si presta (e gli esperti di marketing ne sanno tristemente qualcosa) ad ascoltare consigli del "dottore assunto da poco" detto anche "lo straniero" (giuro che ho sentito così). E pensare che il Sig.IKEA dei suoi 3 figli non ne ha voluto nemmeno uno in azienda perche "erano poco capaci"....ed ha affidato la dirigenza tutta ad "esterni"....
Iniziamo daccapo, volete?
Innanzitutto riappropriamoci della cultura "vera" e della dignità del titolo di “dottore”: non per fare come qui in Abruzzo “lei-non-sa-chi-sono-io” che tanto ormai dottori lo siamo tutti, bensì per il senso atavico della parola “dottore”, cioè “dotto, erudito”…e scommetto che qualche pirla che leggerà non saprà nemmeno che vuol dire “erudito”…e forse è pure laureato. Non è granchè ma almeno la smetteremo di ascoltare gente che (spesso a ragione) sento affermare: "toh, quello è laureato e ne capisce meno di me".
Abbiamo bisogno di cultura, ma non sto parlando di arte, musica e spettacolo, che per quelle alla fine basta avere talento (vabbè facciamo finta che basti il talento)...sto parlando di "conoscenza" nei campi delle scienze, della tecnica, della giurisprudenza e della letteratura..Scopriamo nuove molecole per far drizzare il pisello ad anzianotti obesi e cardiopatici e d'altro canto curiamo malattie come la tubercolosi con farmaci degli anni '50...tanto, chi ha la tubercolosi ormai o è povero o vive nel terzo mondo, non è economicamente vantaggioso investire in quei farmaci, no?
Viviamo in un paese dove l’adolescente medio ha un vocabolario linguistico di poco piu di 200 parole (in italiano...in inglese ne avrà 20 circa) e magari ha un padre o uno zio assessore regionale e lavora mentre noi poveri bifolchi emancipati dal sudore speso sui libri ci rassegnamo a fare lavori anche umili pur di campare la famiglia… quadretto abbastanza disastroso, vero? ma attenzione, non lamentiamoci troppo: è anche colpa nostra, purtroppo. (segue)